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Apprendimento e nuovi funzionamenti mentali - La scuola

Apprendimento e nuovi funzionamenti mentali - La scuola

Pedagogia ed educazione non possono prescindere dal considerare il modo in cui i cambiamenti sociali e culturali degli ultimi vent’anni, insieme al rapido sviluppo delle nuove tecnologie, abbiano irrimediabilmente modificato i funzionamenti mentali e i processi di apprendimento. Dal punto di vista cognitivo, ad esempio, si assiste ad una modificazione strutturale dell’attenzione. Le nuove generazioni sono sempre meno capaci di focalizzare l’attenzione su uno stimolo per più di 3 minuti. Questo ha determinato, in tanta parte della didattica, la necessità di ritarare i tempi esplicativi della lezione frontale e di adoperare ausili tecnologici per facilitare i processi di memorizzazione. Oggi l’apprendimento ha acquisito un significato molto diverso da quello tradizionale. Nell’ottica tradizionale, a cui molti adulti sono ancora abituati, apprendere significava accumulare gradualmente e in modo lineare conoscenze. L’istruzione forniva all’individuo gli elementi per la costruzione di un bagaglio collettivo di sapere in cui riconoscersi, entro cui definire le proprie appartenenze. Il passaggio allo status di adulto avveniva, a livello cognitivo, attraverso la capacità di sviluppare un pensiero personale e autonomo proprio a partire da questo corpus condiviso di nozioni. Nel sistema tradizionale il sapere veniva trasmesso verticalmente, in modo passivizzante e unidirezionale dal maestro all’allievo. La qualità della prestazione veniva misurata in base alla capacità di restituire, nel modo più fedele possibile, i contenuti memorizzati.

Il modo in cui le rivoluzioni tecnologiche e culturali degli ultimi decenni hanno modificato i funzionamenti mentali ha reso obsoleti i principali fondamenti dell’istruzione tradizionale. Se la tenuta dell’attenzione non è più in grado di sostenere negli allievi l’apprendimento con metodi classici, l’immediatezza nell’accesso alle informazioni ha significativamente compromesso le capacità di memorizzazione della mente. Oggi, l’apprendimento si definisce in modo processuale, più che contenutistico, come capacità di ragionare con la propria testa, attivando connessioni, interagendo rapidamente con i sistemi di conoscenza. La conoscenza è organizzata in modo reticolare, un click deve poter attivare tutti i nodi della rete associativamente connessi. Non importa se di quello che scrivo ricorderete il 2% o il 5%. Il mio obiettivo è centrare un nodo significativo della vostra rete e costringervi a fare un ragionamento che attivi nuove connessioni, a partire dai nodi che avete già.

Modificazioni analoghe sono intervenute nei processi affettivi e nelle rappresentazioni mentali. I ragazzi mal tollerano la fatica mentale, non posseggono strumenti interni per gestire la frustrazione dell’apprendimento lineare, non sopportano il silenzio, il vuoto, la solitudine, l’attesa e quanto tradizionalmente considerato prerequisito indispensabile per sviluppare una capacità di pensiero davvero feconda e rivoluzionaria.

Il passaggio dalla famiglia delle regole, dei rapporti verticali, dell’autorità genitoriale e istituzionale degli anni ’50 a quella degli affetti, della mancanza di confini e della pariteticità, fa si che i ragazzi crescano in un clima familiare e sociale che massimizza il senso del loro valore. Per tutta la durata dell’infanzia lo sguardo degli adulti è protettivo e valorizzante della soggettività, entro un sistema di rapporti paritetico e precocemente interattivo. È all’inizio delle scuole superiori che, in genere, quegli stessi adulti, si aspettano che da un momento all’altro i ragazzi siano in grado di mettere in atto procedure e processi mentali di cui non hanno mai avuto esperienza. Così ci aspettiamo che il bambino di ieri, da sempre sollevato “dal brutto, dal negativo, dal sofferto, dal no, dal limite”, diventi di punto in bianco il giovane adulto disciplinato e solito ai più severi dispositivi di apprendimento.

A tutti i livelli, la maggior parte delle criticità nel rapporto tra insegnante e allievo nascono dalla difficoltà a tenere insieme il funzionamento mentale, a cui le nuove generazioni sono addestrate dall’esperienza extrascolastica, entro la famiglia e la società, con quello richiesto da un sistema scolastico tradizionale che esige l’esatto opposto. Quest’ultimo, nonostante alcuni apprezzabili tentativi, fatica ad adeguarsi con la stessa rapidità dei cambiamenti sociali e finisce talvolta per rappresentare esso stesso un blocco, anziché un propulsore per l’apprendimento.

Il modello didattico tradizionale basato sull’acquisizione dei contenuti e quello attuale basato sull’interiorizzazione dei ragionamenti hanno fondamenti psichici e neurofisiologici diversi e impongono diversi parametri di valutazione e differenti metodi e stili di insegnamento. In un caso ti presto una conoscenza fatta e finita di cui sono unico depositario e mi aspetto che tu mi dimostri di averla acquisita, essendo in grado di riprodurla puntualmente quando necessario. Nel secondo ti mostro dei percorsi possibili e mi aspetto che sia tu a produrre conoscenza, trasformando quell’informazione in un sapere.

Entrambi i metodi di per sé sono validi, ma la loro declinazione dipende dall’obiettivo e dal funzionamento dei singoli. Portare i ragazzi a padroneggiare entrambe le modalità oppure declinare l’apprendimento sullo stile specifico di ciascuno, potrebbe facilitare l’acquisizione e diminuire gli effetti negativi a cascata, spesso provocati dal conflitto tra queste due modalità.

La scuola è ancora per tanta parte prossima alla prima modalità, perché il suo mandato risponde ai bisogni che l’istituzione era chiamata a rispondere nel secolo scorso, principalmente a causa della necessità di massimizzare l’innalzamento del tasso di alfabetizzazione.

Rispondeva inoltre alle rappresentazioni e alle aspettative collettive circa lo status di adulto. Fino agli anni ’60-’70, infatti,  famiglia e istituzione promuovevano un modello adulto centrato sulle regole e sulla responsabilità individuale e collettiva. Diventare adulto significava avere le competenze e conoscenze necessarie a farsi carico “di un pezzo” della collettività, entrando a pieno titolo in un ruolo (familiare e sociale) che non era discutibile, non era oggetto di scelta.

 Oggi si diventa formalmente adulti quando si matura la consapevolezza di sé stessi, del proprio realistico modo di essere e di operare scelte efficaci nel mondo, ragionando con la propria testa e in modo critico rispetto a vincoli e opportunità del proprio contesto. Educare, nel senso di “tirar fuori” da ciascuno il realistico potenziale, implica, anche nell’educazione e nella didattica, l’attitudine a promuovere in ciascun allievo la consapevolezza di sé, del proprio specifico modo di sentire e rappresentarsi l’esperienza e il valore della propria individualità. Questo obiettivo può essere perseguito solo attraverso lo strumento di una relazione rispettosa e valorizzante delle potenzialità, oltreché dei limiti di ciascun allievo, sia nel percorso di apprendimento che in quello di crescita.


Dott.ssa Katia Buonanno
Psicologa Psicoterapeuta

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